Cosa è il brunello? È puro sangiovese di
Montalcino. È affinato quattro anni, di cui almeno due in botti di legno. È frutto di secoli di passione, esperimenti e successi. È un mito
Toscano. È tutto questo, ma anche molto di più. È l’espressione viva e vitale di una comunità, di una tradizione, di una identità. È un coro di centinaia di produttori, che nei secoli ha visto molti, moltissimi protagonisti. Mille voci, ma un unico straordinario motivo;
Il Brunello di Montalcino.
Il Cinquecento: Nasce il nome "Brunello"
La più antica citazione del nome Brunello è nella “Cronaca” di Marcantonio Rigaccini del secolo XVI, a pagina 22, è scritto “i Renai e la Martoccia sono i due vigneti più famosi dell’epoca, pel miglior Brunello di Montalcino”. Lo storico Leandro Alberti nella “Descrittione di tutta Italia” del 1551 scrive che “camminando poscia verso Siena si scopre sopra d’un’alto monte, Monte Alcino, da’l Volaterrano detto Mons Alcinoi, molto nominato ne’l paese per li buoni Vini che si cavano da quelli ameni Colli”.
Il Seicento: Il Brunello è il vino del Re d’Inghilterra e del Papa
In questo periodo “Montalcino è l’unico Comune del Comprensorio in cui si produce per il mercato vino pregiato...”. Perfino la corte d’Inghilterra importa vini di Montalcino: tra il 1688 e il 1712 re Guglielmo III li vuole sulla sua tavola, come documentato da un esteso carteggio tra l’ambasciatore inglese in Toscana, lord Evelyn, e la Corte di San Giacomo.
Federico Melis, noto storico dell’economia, a riguardo della produzione enologica montalcinese del periodo scrive ne “I vini italiani nel medioevo”: “già emerge Montalcino – del quale il nome Brunello ho incominciato a incontrarlo, però, solamente nel tardo Cinquecento”. Dal 1623 al 1644 il medico montalcinese Giulio Mancini è Archiatra, medico del Papa, e porta a Urbano VIII in dono vini di Montalcino che sono molto apprezzati “per la sua gagliardia e per il suo sapore”, tanto che il Papa “con grande discrezione, solea spesso richiederlo per sé e per la sua corte”. Nella seconda metà del ‘600 i vini di Montalcino sono esportati con continuità in Inghilterra, come risulta da un testo di Dante Vigiani pubblicato nel 1943.
Il Settecento e il primo Ottocento: Il Brunello si fa adulto
In questo periodo l’unico settore che cresce a Montalcino è il vino, che passa dalle 5.750 some del 1676 (l’equivalente di 700.000 bottiglie attuali) ai più di cinquemila ettari dei primi dell’800. Oggi sono 3.480. Verso il 1750 Giovanni Antonio Pecci scrive che “Montalcino posa sopra un colle assai scosceso, che se dall’opra e dall’industria de’ Paesani non fosse stato tutto ridotto a coltura, certamente non potrebbe considerarsi se non che aspro e inabitabile; ma le spesse coltivazioni delle viti e degli altri alberi domestici lo rendono facile”. Nel 1770 Giovanni Targioni Tozzetti, noto naturalista, in Riflessioni sopra la poca durata dei vini toscani scrive che i vini di Montalcino hanno ottime qualità, e sono tra i pochi in Toscana ad avere grandi capacità di invecchiamento. Dal 1820 vengono vendute delle bottiglie di Brunello dei fratelli Padelletti con etichette stampate in tipografia, primo timido presagio di un futuro diverso. Nel 1834 Cosimo Ridolfi, illustre agronomo che nel 1848 sarà Presidente del Consiglio toscano, sostiene (in un testo riportato da Paolo Bellucci in I Lorena in Toscana) che i vini del tempo sono mediocri ed inadatti all’esportazione, e dovevano migliorare fino a “che in Toscana tutto avrebbe dovuto diventare “Chianti”, “Pomino”, “Carmignano”, “Montalcino”, con carattere di colore, odore, sapore determinati per aver credito fisso e generale”. Dunque per il più noto agronomo toscano dell’epoca il Brunello è tra i quattro migliori vini di Toscana, e deve essere preso a esempio da tutti. Nel 1856 Clemente Santi presenta suoi vini alle Esposizioni di Londra e di Parigi, ed è presente nel Catalogo degli animali riproduttori, macchine, arnesi e prodotti agrari presentati alla esposizione fatta dal 1 al 7 giugno 1857 con “Vin santo vecchio spumante del suolo Montalcinese, Vin santo vecchio, come sopra, Vino Rosso comune, come sopra”.
1860 – 1918: Il Brunello è premiato in tutta Europa
Nel 1869 Clemente, figlio di Luigi Santi, è premiato con medaglia d’argento al Comizio Agrario del Circondario di Montepulciano per un Brunello 1865. Nel 1870 Tito Costanti, sindaco di Montalcino, partecipa all’Esposizione Provinciale di Siena con un Brunello 1865. Nel 1873 Gabriel Rosa, noto patriota e intellettuale bergamasco del periodo unitario, scrive che “il vanto maggiore e singolare del territorio di Siena è il vino. I vini di Brolio, di Montepulciano, di Montalcino e di Sinalunga sono ora indubbiamente i migliori d’Italia”. Nel 1874 la Fattoria dei Barbi ottiene una medaglia d’argento dal Ministero dell’Agricoltura, il primo premio nazionale per un vino rosso di Montalcino. Dal 1875 al 1876 la Commissione ampelografica della Provincia di Siena redige la più antica analisi chimico-degustativa ufficiale di un Brunello che ci sia pervenuta. Si tratta di un Castelgiocondo degli Angelini del 1843, un vino che a 32 anni di età è ancora color rosso rubino con 14,2 gradi di alcol, acidità totale 5,1 e estratti secchi di 23,8. Dati in linea con i migliori Brunelli (di pari invecchiamento) attuali. La Commissione scrive che il Brunello, il Moscadello e il Procanico sono i vitigni più coltivati a Montalcino già dai tempi antichi. Nel 1885 il professor Sirio Martini, docente di viticoltura all’Istituto G.B. Cerletti di Conegliano Veneto, tiene a Siena una conferenza sul tema “Sulla ricchezza a venire della Provincia di Siena” e dichiara che Chianti, Montepulciano e Brunello di Montalcino sono ormai ben noti e venduti su tutti i mercati vinicoli nazionali e esteri. In particolare il Brunello, grazie alle famose vendemmie 1888 e 1891. I più di 100 premi vinti da Brunelli in tutta Europa tra il 1860 e la Prima Guerra Mondiale dimostrano la qualità e la vitalità della viticoltura montalcinese di fine ‘800. Il Brunello è noto ma ancora poco diffuso tra i consumatori, ed è solo una frazione del tanto vino prodotto a Montalcino. Ma vince in ogni concorso in cui si presenta in tutta Europa, e lo fa con tanti produttori diversi. Ma quei primi successi sono messi a rischio dalla fillossera, che nel 1888 fa la sua prima comparsa nel nord della Toscana e nel 1903 è segnalata a Castelnuovo dell’Abate, una frazione di Montalcino. In quel periodo nel comune c’erano 3.800 ettari tra specializzati e promiscui (oggi ce ne sono 4.600) che dovettero essere tutti ripiantati, perché solo usando viti innestate su piede americano si poteva eliminare il parassita. E così la prospera viticoltura montalcinese subisce alcuni anni di pausa.
1919 – 1945: Il Brunello crea le basi per il futuro del vino italiano
In questo periodo il comune pare avviato al declino, solo il Brunello continua lentamente a crescere. Le quantità vendute in bottiglia sono ancora modeste, ma è proprio in questo periodo che a Montalcino vengono messe in pratica tante idee che saranno alla base del successo del vino di qualità. Nel 1926 Tancredi Biondi Santi fonda la Cantina Sociale Biondi Santi & C. sotto l’antico Spedale di S. Maria della Croce (l’attuale sede del Comune) con otto grandi produttori che decidono di vinificare e confezionare i vini insieme, ma poi ciascuno può vendere o concorrere ai premi con propria etichetta. È un concetto così innovativo che è futuristico pure oggi. Nel 1931 la Fattoria dei Barbi vende il Brunello per corrispondenza (l’internet dell’epoca) con una mailing a tutti gli avvocati e medici d’Italia che comprano oltre 10.000 bottiglie l’anno, e poco dopo la Cantina Sociale Biondi Santi & C. spedisce bottiglie di Brunello in USA. Sono i primi vini italiani di alto prezzo venduti su quelli che saranno i principali mercati del futuro. Nel 1933 dieci aziende di Montalcino partecipano alla I Mostra Mercato dei Vini Tipici d’Italia a Siena e dichiarano una produzione complessiva di 4.850 ettolitri, pari a 650.000 bottiglie, una quantità enorme per l’epoca. Non solo i produttori di Brunello vanno alle Fiere del vino già negli anni ‘30, ma lo fanno insieme e sono uno dei gruppi di espositori più corposi. Montalcino ha anche il motto dell’evento, scritto dal poeta Filippo Tommaso Marinetti: “il Brunello è benzina”, ovvero è l’energia che fa marciare il motore del mondo. Nel catalogo II edizione del 1935 A. Musiani scrive “Si ottiene dalla vinificazione del solo Brunello, che ormai è universalmente riconosciuto come una sotto-varietà del Sangioveto grosso.”. Nel 1941 il Podestà Giovanni Colombini inaugura la prima Enoteca Pubblica d’Italia nell’antica Fortezza, che per regolamento potrà vendere solo prodotti agricoli locali confezionati. Tipicità, chilometro zero, uso della cultura e dei monumenti per valorizzazione dei prodotti locali, sono tutti concetti molto attuali.
1946 – 1969: La crisi del dopoguerra mette a rischio il Brunello
Tutti i settori dell’economia montalcinese sono colpiti, e il crollo di ogni comparto potenzia il danno degli altri. Così un comune benestante diviene uno dei più poveri della Toscana, e in pochi anni perde il 70% della popolazione. Delle grandi fattorie che avevano fatto la storia del Brunello ne sopravvivono una manciata, più qualche decina di neonate aziende a conduzione diretta e piccole fattorie che per ora sono cerealicole e zootecniche, non vinicole. Ma è proprio partendo da tutte loro che Montalcino crea le basi della ripresa. Nel 1949 la Fattoria dei Barbi realizza la prima cantina toscana sempre aperta al pubblico dove si può degustare, acquistare botti- glie, mangiare o fare una visita guidata. Nel 1955 Giovanni Colombini e nel 1957 Tancredi Biondi Santi fanno disegnare al pittore e grafico senese Vittorio Zani (1892-1972) le loro nuove etichette, saranno quella blu della Fattoria dei Barbi e quella nera e oro del Greppo che diventeranno miti dell’enologia italiana. Non sono fatti casuali, sono operazioni di marketing studiate e realizzate insieme alla creazione di moderne reti di vendita in Italia e all’Estero e ad accorte politiche di immagine, che portano all’inizio degli anni ‘70 il Greppo a 10.000 bottiglie di Brunello vendute e i Barbi prima a 100.000 e poi a 200.000. A quei tempi sono numeri straordinari per dei vini di qualità, sono i più alti d’Italia. Nel 1961 esce “I Vini d’Italia” di Veronelli, e il Brunello è indicato come il miglior vino d’Italia per le carni rosse. Nel 1963 viene istituita la DOC, Denominazione di Origine Controllata, e nel 1966 il Brunello è il primo vino rosso tra le prime dieci DOC, e dopo soli 14 anni sarà la prima DOCG: sono i massimi riconoscimenti ufficiali che lo Stato Italiano può dare. Nel 1967 diciotto produttori danno vita al Consorzio del vino Brunello. I riconoscimenti ufficiali per il Brunello ci sono, le bottiglie vendute e la notorietà aumentano a ritmi alti ma la crisi è ancora terribile. I viticoltori si sono ridotti a 37 con 105 ettari di vigneto iscritti a Brunello tra specializzato e promiscuo, e dei tanti produttori ante-guerra solo tre vendono ancora Brunello in bottiglia. Nel 1969 Veronelli pubblica il 1° “Catalogo dei Vini Rossi d’Italia – Gotha dei Vini” e sono presenti i Brunelli di Biondi Santi con tre stelle, Fattoria dei Barbi con due e Il Poggione con una. In pochi anni gli ettari a Brunello diventano 470 con più di cento produttori, e nel 1980 si arriva a 693. Fin da subito si manifesta quella enorme frammentazione tra medi, piccoli e piccolissimi viticoltori che caratterizzerà tutto il futuro del vino montalcinese. Nel 1970 la Capanna di Cencioni è il primo coltivatore diretto a imbottigliare Brunello con una sua etichetta, e sarà seguito dagli altri nei successivi due decenni. I fattori che genereranno la ripresa stavano già operando, ma i risultati non erano ancora visibili.
1970 - 1989: Il Brunello porta la ripresa
All’inizio degli anni ‘70 la produzione di Brunello è già superiore al milione di bottiglie (i dati ufficiali riportano cifre più basse, ma per quegli anni sono notoriamente inaffidabili), ed è presente in maniera importante in tutta Italia e sui principali mercati esteri. Nel 1972 nel 2° “Catalogo dei Vini Rossi d’Italia – Gotha dei Vini” di Veronelli i Brunelli sono tre, nel 3° “Catalogo” del 1974 le aziende diventano cinque e nel 1976 nel 4° “Catalogo” sono sei. In quegli anni le aziende italiane che esportano vini di qualità sono pochissime, meno di cento, ma quelle montalcinesi sono già una decina. Nel 1978 risulta che Montalcino è il comune con il più alto reddito pro capite della provincia di Siena. Nel 1980 la crescita del vino diviene esplosiva. Si arriva a 93 viticoltori, 693 ettari di Brunello e 4.034.320 bottiglie realizzate (tra Brunello e Rosso di Montalcino) pressoché interamente da viticoltori locali. In quello stesso anno Burton Anderson, probabilmente il giornalista vinicolo di quel periodo più noto al mondo, descrive il Brunello come il miglior vino d’Italia e afferma che in alcuni casi supera i prezzi dei primi gran cru francesi. A conferma di un successo consolidato nel 1985 due aziende di Montalcino, Biondi Santi e Fattoria dei Barbi, sono incluse da Wine Spectator tra le 100 aziende più prestigiose del mondo nella I New York Wine Experience. Il Brunello è già il vino italiano di fascia alta che genera il maggior fatturato, e questo è un primato che rimarrà stabile nei successivi quattro decenni. La forte crescita, i prezzi alti, le vendite in ogni mercato del mondo e i successi d’immagine destano l’interesse di imprenditori italiani ed esteri, che ora decidono di investire a Montalcino. La prima decina di viticoltori “non locali” arriva alla fine degli anni ’70, e nel ventennio successivo cresceranno fino a raggiungere circa un terzo sia della produzione che del numero dei produttori. Nel 1984 il Brunello è il primo vino in Italia ad avere la DOCG. Contemporaneamente il Rosso di Montalcino acquisisce la DOC, ed è la prima denominazione di ricaduta. È una grande innovazione studiata e voluta dal Comune e dal presidente del Consorzio del Brunello Enzo Tiezzi. Nel 1988 il Comune di Montalcino e il Consorzio del Brunello organizzano la celebrazione del Centenario del Brunello, un’idea di Franco Biondi Santi che pone al centro di tutti gli eventi le quattro bottiglie del Brunello 1888 del Greppo. È il primo grande evento mediatico del vino italiano, una consacrazione del Brunello a livello internazionale. Montalcino è divenuta la piccola e ricca capitale del vino italiano, è provinciale ma anche dinamica e globalizzata con tante imprese di ogni dimensione che si evolvono e competono. È uno sviluppo con percentuali di crescita altissime, ma solidamente innestato su radici antiche e vitali.
1990- 2008: La prima età dell’oro del Brunello
La vendemmia 1990 è la prima grande della “epoca d’oro” del Brunello, e 2.536.274 bottiglie vendute escono sul mercato a prezzi spesso doppi rispetto al 1989. Nel 1993 il presidente del Consorzio, Sante Turone di Caparzo, crea “Benvenuto Brunello”. È una degustazione dei vini DOCG e DOC di quasi tutte le aziende di Montalcino, che si tiene nello scenografico Castello di Poggio alle Mura di Banfi. Nascono così le “Anteprime”, un format di comunicazione di enorme successo che presto sarà copiato in tutta Italia. Sono presenti duecento giornalisti delle più prestigiose testate di tutto il mondo ed escono migliaia di articoli. In pochi anni si passa da 1.260 ettari di Brunello a 2.100, e da pochi ettari a Rosso di Montalcino a 550. Nel 2000 le vendite di Brunello salgono a 4.608.562, quasi il doppio di dieci anni prima. Nel 2002 arriva il mitizzato Brunello 1997, e di nuovo c’è uno straordinario successo di vendite e di critica. Il mercato è così preso dalla “vendemmia del secolo” che accetta aumenti di prezzo folli. Nel 2005 il Censis certifica il superamento dei due milioni di turisti l’anno. Sono 384 per ogni residente, che è il rapporto più alto d’Italia tra visitatori e abitanti. Nel 2006 il Brunello di Casanova di Neri viene proclamato il miglior vino del mondo da “Wine Spectator”, e questo è solo il maggiore dei tanti riconoscimenti ottenuti da oltre cento aziende montalcinesi. Gli imbottigliatori sono più di 240, con 6.854.234 bottiglie di Brunello vendute. Dal 1990 al 2008 sia le quantità di vino che i prezzi aumentano in media di quasi il sei per cento ogni anno, l’immagine del Brunello è cresciuta e alcuni marchi aziendali hanno raggiunto la notorietà mondiale. Molte cantine si alternano negli anni come leader nei punteggi sulle guide e sui giornali vinicoli, in un primo momento spicca Soldera-Case Basse, poi Poggio Antico e, in anni successivi, Cerbaiona e Casanova di Neri. Probabilmente è proprio in questo periodo che il marchio “Brunello” diviene molto più importante dei marchi aziendali, ed è probabile che sia il “marchio collettivo” italiano più noto al mondo.
2009 - 2018: Caduta e rinascita
L’11 settembre 2008 fallisce la banca d’affari Lehman Brothers a New York, ed ha inizio la grande crisi finanziaria che colpirà tutto il mondo. Montalcino subisce vari eventi negativi contemporaneamente: la crisi globale, l’aumento di produzione del Brunello decisa nel 1997 che fa salire l’offerta del 50% proprio mentre la richiesta crolla, e un’indagine penale su alcune aziende sospettate di aver aggiunto altre uve al Brunello. È lo “scandalo del Brunello”, che ha conseguenze mediatiche terribili con migliaia di articoli su ogni giornale del mondo che mettono in dubbio la correttezza dei viticoltori di Montalcino. Un vero annus horribilis. Il prezzo del vino sfuso crolla da € 900 all’ettolitro a € 300, e la vendita delle bottiglie cala. Nel 2009 le giacenze di Brunello arrivano a 47.216.400 bottiglie di Brunello, + 9.341.067 sul 2005: in poco tempo si è accumulato un residuo invenduto pari a un anno e mezzo di vendite. I fatturati di molte aziende calano enormemente ma già dal 2012 le vendite di bottiglie con i marchi dei produttori tornano a salire. In soli sei anni Montalcino è uscito da una prova estremamente dura, ed è cambiato profondamente anche se nessuna azienda del Brunello è stata chiusa o venduta. I controlli molto duri e puntuali che sono seguiti allo scandalo hanno avuto un risultato inatteso: hanno fatto aumentare sia la qualità che la fiducia dei consumatori. Così la vendita del Brunello è passata dai 6 milioni di bottiglie all’anno dell’inizio del secolo a quasi 10, con i prezzi i più alti che si siano mai visti. La dura crisi del 2009-2015 ha spinto quasi tutte le aziende a rendere più efficiente la produzione, e molti a innovare la tecnologia. I controlli si sono estesi anche ai campi, ed hanno portato a un’agri- coltura molto più attenta all’ambiente e spesso biologica o biodinamica. Quasi tutte le vigne di Montalcino sono inerbite, gli oliveti sono curati e non si vede più un campo o un podere abbandonato. Quasi ogni operatore di Montalcino ha dovuto migliorare il marketing e la comunicazione. Il risultato è un posizionamento migliore del Brunello e di un numero più alto di aziende montalcinesi. Nel 2018 su Wine Spectator Casanova di Neri è quarta al mondo e Altesino è undicesima, e su Wine Advocate Le Chiuse è seconda, Ciacci Piccolomini è ottava e Costanti è tredicesima. Come scrisse Friedrich Nietzsche, “ciò che non mi distrugge mi rende più forte”. Montalcino ha creato l’agricoltura più redditizia d’Italia.
Dal 2019 ad oggi – dove va Montalcino?
Questo lavoro sarebbe incompleto senza qualche accenno alla
Montalcino di oggi. Il primo gennaio 2017
Montalcino si è fuso con San Giovanni d’Asso. La popolazione è salita a 6.043 abitanti e la superficie a 31.013 ettari. L’agricoltura dà lavoro a duemila persone, che nei periodi di punta arrivano a 2.600. Il vigneto copre 3.480 ettari di cui 2.100 iscritti a
Brunello di Montalcino DOCG, 510 a
Rosso di Montalcino DOC, 38 a
Chianti DOCG e 832 a
Sant’Antimo DOC o
IGT Toscana. L’uva Sangiovese conta 2.750 ettari, pari all’80% del totale. Se però escludiamo dal calcolo le tre aziende che hanno la maggior percentuale di uve diverse otteniamo un risultato singolare: le 300 aziende restanti hanno 2.480 ettari di Sangiovese su 2.560, ovvero il 97%. Dal 2011 al 2019 molte cantine si sono rinnovate e sono nate strutture turistiche di alta qualità, ma la cosa più importante è che sono stati piantati 887 ettari di vigna. Siamo arrivati a 4.315, +24% in otto anni. Il successo non ha concentrato la produzione nelle mani di pochi. Le 10 aziende più grandi fanno un terzo del
Brunello, un altro terzo è delle 40 medie mentre il resto è dei piccoli. I montalcinesi sono proprietari dei due terzi delle vigne, e questo spiega il forte legame dei vini con il territorio. Oggi ci sono capitali in cerca d’investimenti in beni unici come il Brunello, e così hanno cambiato proprietà circa il 5% delle vigne di
Montalcino tra cui il marchio storico
Biondi Santi, i due marchi famosi Cerbaiona e Poggio Antico più altri minori. Il successo continuerà? È probabile, perché è legato a fattori stabili: la forza del marchio Brunello, la scarsa competizione sui prezzi, la impossibilità di aumentare la produzione e un mercato mondiale dei prodotti di prestigio in crescita. Qui conviene di più confrontarsi su qualità e immagine che sui prezzi, e questo causa un circuito virtuoso: il miglioramento del prodotto è apprezzato da clienti e media, ricade sul marchio
Brunello e fa salire il prezzo delle bottiglie. Così si rendono disponibili più risorse per far crescere la qualità e l’immagine, e il ciclo alimenta sé stesso. Nel 2020 vendevamo il Brunello 2015, l’annata dei record; nella storia del vino mai così tante aziende di una singola Denominazione hanno ricevuto così tanti punteggi massimi (100/100, 20/20 e simili). Poi è arrivato il Covid. Nel il 2021? James Suckling e poi tutti i principali giornali vinicoli del mondo hanno incoronato il Brunello 2016 che si vende quest’anno. Nella classifica più importante del mondo del vino, la “Top 100” di “Wine Spectator”, compaiono ben due Brunelli nei primi venti posti che, come spesso accade qui, non sono i soliti noti: al terzo posto San Filippo, e al sedicesimo Caprili.
Montalcino pare uscire da questa crisi confermando di essere qualcosa di unico, e diverso da tutti: una commedia con sempre gli stessi attori, che però si scambiano continuamente i ruoli in una scena molto adattabile e dinamica.